LA VERA STORIA DELL’UOMO SCRVANIA


L’importanza di chiamarsi Dandy 


 
Sono un uomo scrivania, il copia in colla di milioni di uomini scrivania che per scelta o per obbligo hanno smesso i mortali costumi per vestire i panni più anonimi e smessi dell'uomo scrivania. 
Ogni giorno faccio cose, ascolto persone, scambio persone per cose. Snocciolo grandi sciocchezze in compresse rivestite da grandi verità. Ho un completo economico e una camicia bianca e una cravatta a righe, una anonima scrivania senza foto di passato, presente o futuro. Da tempo ho capito che grandi città come i grandi uffici come il mio, li ha creati il demonio per privarti della natura e del semplice contatto umano. 
Ho una vita perfettamente distillata, plastificata al punto giusto, quel non so che di vero fondato sul falso. O meglio, mia moglie è vera, respira e spende soldi come parla. È bella quanto basta per far rosicare i subalterni e non abbastanza per far gola ai miei superiori. Mia figlia è bella davvero. Ha quella bellezza dei boccioli in fiore, mi somiglia esteriormente, ma non è per questo che dico che è splendida. Lei ama il suo papà, non L'uomo scrivania o Dandy e nemmeno Max. Lei mi ama perché son io. Ed io la amo profondamente. Ed è forse per lei e solo per lei che mi aggrappo a questa vita e vesto i panni dell'uomo scrivania. 
Ogni giorno alla solita ora mi desto, non che abbia dormito davvero tutta la notte ma a quell'ora ho sonno davvero per cui come milioni di uomini scrivania mi alzo sbadigliando, faccio colazione, mi doccio e metto il completo da battaglia. Perché vedete, nella gerarchia delle cose, l'uomo scrivania può sembrare che abbia sempre lo stesso completo, come topolino, ma in realtà esso cambia in base a con chi parla.  Se parla con il capo, il completo splenderà di quella finta sartoria provinciale che non è cinese badate, ma è di un'onesta sarta italiana: mia madre. Se parlerà con un subalterno mia madre diverrà Valentino all'occorrenza.  Allora cosa fa di me un uomo sopraffino? I dettagli. Sì, l'uomo scrivania in carriera sa che i dettagli sono il sale della vita. E quindi sapientemente venderà un rene per un paio di scarpe, una borsa porta documenti e un Rolex d'ordinanza. Sui dettagli non si scherza, non si va al mercato o peggio dai cinesi, si va in boutique. Sono i dettagli e il buon gusto a fare carriera. Questo è un sentito e sano senso di bastardaggine intima e istintiva, costruita e affinata nell'arco del tempo. 
Sto dunque al mio posto, negli anni che furono  lo avrei chiamato il mio quartier generale, ma non oggi, che a motivo del mio ieri chiamo la mia poltrona di pelle nera: la cuccia del cane. Ovvio una cuccia ambitissima e stramaledettamente meritata, cuccia per cui milioni di colletti bianchi come me farebbero carte false. Io per la mia cuccia ho dato la mia anima, in cambio lei mi ha regalato rispettabilità. Da quella cuccia ho intrepidamente atteso la nascita della cucciola. Ho visto arrivare e andarsene la donna che in un mondo migliore sarebbe stata l'amore della mia vita. Ho sognato  dalla mia cuccia. Fatto voli pindarici che Icaro fatti più in là. Ma ho sofferto anche molto, perché dalla mia cuccia ho capito di essere arrivato fin dove potevo arrivare, ho attraversato la linea di confine del punto di non ritorno e ho scelto e scelgo ogni giorno fra i miei due mondi paralleli: quello dell'uomo scrivania e quello di essere Dandy; che non è il mio nome, ma ha tutta la sua importanza di esistere. Grazie ad esso io vivo e sopporto la realtà che mi è dinanzi. Grazie ad esso, io posso aspirare a una cuccia migliore, quella del gran capo. Quella per cui ho sacrificato l'anima, sdrucito la vita. Grazie al misterioso Dandy io posso dire no alla vera felicità che nonostante tutto bramo e merito; ad una felicità diversa, a me non consentita che manderebbe in frantumi tutto il mio essere un uomo scrivania. 

 Ma voglio fare un passo indietro ed uno avanti, e vi narrerò la mia vita partendo dalla base; quand'ero il golden boy di casa mia, per poi divenire lo splendido uomo scrivania che un giorno decise di divenire il Dandy. 
 Sin da piccolo sono stato considerato come un tipo 'estroverso' e sulla pagella di seconda elementare ricordo ancora una frase scritta dalla maestra Luini che scrisse: bambino 'intraprendente', audace. Ricordo ancora, come a sette anni avessi messo in piedi un circolo ricreativo; un mio Fun Club ...vabbè, diciamo che rimaneva circoscritto al mio quartiere di via Carlo D'Azeglio. Un plotoncino di associati, che con una quota base di caramelle e figurine aveva la possibilità di accedere con un po' di sconto al mio mercatino. Il mercatino andava in scena nei pomeriggi del sabato. Sistemavo la mercanzia su fodere di legno, che mio padre utilizzava per pianali di lavoro in garage. Le bancarelle le posizionavo davanti casa. Per la merce inizialmente mi affidavo al Guercio. Già noto alle forze dell'ordine per piccoli furti. Aveva la mia età il Guercio. Detto così non perché avesse problemi di vista. Ma perché il suo cognome era così: Guercio. La collaborazione con lui andò avanti per qualche settimana. Fino a che qualcuno fece la spia, e fui costretto a saccheggiare direttamente la cantina dei miei nonni. Più vicina e redditizia. Il padre di mia nonna, il mio bisnonno, era un benestante. Inoltre era stato nell'esercito dove aveva fatto carriera. Era stato affiliato a dei corpi speciali per missioni estreme. Durante la Seconda guerra mondiale, stava sulle Alpi francesi col suo selezionato gruppo di uomini - stile quelli della sporca dozzina. Beh, mio bisnonno dovette intervenire in aiuto di alcuni alleati rimasti intrappolati in una gola, senza cibo né acqua. Il mio bisnonno ci riuscì a salvarli tutti, e per questo fu insignito della Legion D'onore. Il mio bisnonno era un eroe. Mia nonna invece era la figlia viziata, ed essendo figlia unica non aveva che da spendere soldi.  
Mio nonno invece aveva lavorato in miniera ed era poi morto per tubercolosi. Mia nonna rimase sola e ricca. 
 Il libro "Sulla Strada" l'ho scoperto a sedici anni, me l'avevano consigliato degli aficionados di biblioteca assieme a "Il Pasto Nudo" di Burroughs e "Viaggio al termine della notte" di Céline. Adoro Céline, quel libro, tutta la sofferenza che ha nelle viscere, tutta la franchezza, l'onestà. In quel periodo ebbi a che fare anche con Miller. I due Tropici sono inarrivabili. Degradazione interiore, marciume, e apoteosi letteraria. Pagine che sviluppano poesia e passione senza eguali. Midollo e sangue. Selvaggia padronanza dialettica e onnipotenza linguistica. Ho sempre amato leggere cose forti. Dell'università ricordo Città Studi; la fermata della metro a Piola; il parchetto che l'attraversava in zona Politecnico. Con la bella stagione tutto si animava di colore e di genti. All'università mi ha sempre impressionato la bacheca posta all'ingresso. Carica di strappi multicolori, per compagnie teatrali; spettacoli folk; riviste New auge; corsi di chitarra.  La bacheca portava le inserzioni più disparate: da chi cercava una condivisione di stanza, a chi si offriva per lezioni di matematica applicata alle funzioni Gaussiane. Incontri di ramino. Oppure, chi vendeva libri mai usati!! Un altro posto in università che mi tirava scemo era la biblioteca. Io la chiamavo la stanza dei pesci. Quando entravi là dentro al minimo rumore che facevi tutti si voltavano, facendoti sentire un vero idiota.  Una volta, ricordo ancora che mi cadde a terra per sbaglio un volume di chimica fisica; un tomo di dimensioni pantagrueliche; che fece un tonfo così secco, un rumore così sonoro; che me ne vergognai per un sacco di tempo di quello sguardo dell’intera biblioteca che mi rimbalzo addosso in risposta al mio involontario chiasso.  C'erano persone, che a distanza di settimane dall'episodio, vedendomi entrare in biblioteca; riconoscendomi, memore di quello che avevo fatto, istintivamente si piazzava le cuffie nelle orecchie. O ancora peggio, mi additava al vicino di libro; come se fossi una specie in via di estinzione. 
 Una volta laureato trovo posto in banca, e come un bravo soldatino, faccio gamba tesa per far cadere altri e tengo la testa china per entrare nelle simpatie di tutti. Avevo intuito e mi piaceva il mio lavoro. Ero abbastanza bello da far innamorare chiunque, sebbene non abbia mai capito il perché.  
Poi conobbi mia moglie, al momento giusto di una splendida carriera in ascesa.  
Lei si presentò in banca una mattina cercando i moduli per un F24. Appena la vidi mi piacque. Non so spiegare; ma forse c'era qualcosa nel suo modo di parlare, di muovere le labbra, di vestire.
Un tempo lei scriveva. Prima che la frequentassi; prima di sposarla, aveva provato a pubblicare una raccolta di poesie. Segreti da adolescente; paure e passioni. 
Ma niente è per sempre, o almeno niente rimane uguale per come vorremmo noi. 
Tutto cambia, si dilata in un verso o in un altro. Neanche lei rimase sé stessa, lasciando che la quotidianità le consumasse i contorni, da mettere in risalto una figura a sé stante. Rigida e patinata. La moglie perfetta di un Golden boy bancario. Così da ritrovarmi demotivato come avere davanti un lungo cammino ed essere privo di forze.  La mia mente cominciò a vedere così la realtà; destrutturata, senza valenze né principi; non più come prima ma in cerca di qualcosa che mi salvasse da essa; da me stesso. La realtà mi stava corrodendo; io non facevo altro che sfuggirle, con il solo risultato che permettevo agli altri di banchettare con le mie carni, sulla mia anima. Era una sfida questo dazio di vita. La mia testa, ogni giorno depositata sulla scrivania del capo e le mie chiappe ben poggiate sulla mia cuccia da cane. Cuccia che ogni giorno diventava sempre più possessiva e avida di vita. 
Con l'avvento dei social, entrai in un flusso nuovo e rilassante. In un circuito dove la mia anima respirava aria nuova e le mie mani rattrappite dallo schiacciare tasti e stringere mani presero forma e la mia esistenza da Golden boy mi sembrò già più leggera. Con ingenuità non utilizzai nickname e mi cimentai nelle prime interazioni. Feci le prime amicizie e mi sconvolse non poco scoprire il lato osceno di molte donne sul web. Giuro che a ogni frase sconcia mi vergognavo, e con altrettanta vergogna arrossivo. Poi la vergogna spariva inghiottita da un'altra frase oscena. Quei gesti all’apparenza sacrileghi divennero un'onda di vitalità; di adrenalina. E a motivo anche dell'insonnia essa mutò in dipendenza. Ovviamente non cercavo la donna della mia vita là dentro. L'avevo già, ed era alta un metro e un tappo, e quando sorrideva ci passava l'autostrada in quella schiera di dentini mancanti. La mia cucciola era la donna della mia vita. Era la mia vera bussola della felicità. Sebbene come padre non fossi preparato, e il vederla crescere così velocemente mettesse pepe alle mie membra che si sentivano già vecchie. Lei esercitava un effetto equilibrante, ed io per il suo bene volevo ancora essere ciò che una vita fa avevo scelto di essere: un uomo di successo. Man mano però che passavano i mesi, mi resi conto che la mia vita social pubblica non poteva coesistere con quella intima. Quindi i miei demoni interiori fecero un patto, e colpirono piano piano incuneandosi in anfratti a me oscuri ma presenti. Così che ero sempre lo splendido uomo di sempre; almeno al dire di altri, ma in verità dentro me si fece strada uno strano essere di nome Dandy. Non mangiavo e non dormivo e lentamente Dandy entrava nelle mie vene, la mia pelle diveniva la sua e il suo modo di vivere il mio. Ma ogni sogno ha i suoi contrordini speciali ed io sebbene fossi divenuto già da un po' Dandy; e nei panni di Dandy avessi trovato stabilità, conobbi la mia cura e la mia nuova malattia, tutto dentro un aristocratico musetto. La conobbi seduto nella mia cuccia del cane. Più precisamente in corridoio dove vidi i più dimessi e splendidi opali che avessi mai visto. Una cosetta scialba, dimessa per l'appunto, insignificante e tremendamente sexy sotto quei panni da donna qualunque. 
Se io ero un uomo scrivania, un timbratore di sigle e stupidaggini, lei era una dispensatrice di consigli e cattiverie. Una piccola nana da giardino che sotto ad un tenero sorriso nascondeva una ninja da combattimento pronta ad ucciderti.  Se la vedevi ti faceva tenerezza e simpatia ma aveva una mancanza totale di parametri e se le davi amicizia, cosa che ti veniva naturale, poi lei la pretendeva davvero, ovunque. Ho capito già che state pensando, che sono un capitalista snob e narciso, sì forse è vero. Ma il mio lavoro consiste anche in questo, cercare di portare la gente ad essere affascinata da me per poi spingerla a fidarsi così che io capitalizzi onestamente i loro beni. Ma lei con la sua presenza rovinava tutto. Voi non sapete cosa vuol dire cadere di nuovo nel vuoto perché la tua vita non ti piace più. Io ero un padre e un marito. Avrei deluso mio padre e poi cosa sarebbe successo? Sarei divenuto invisibile anche per lei come era successo con mia moglie? Se io le davo corda, sapevo che mi sarei impiccato. A modo mio ci provai e finii al tappeto. Non direttamente ci provai, diciamo che mi accostai indirettamente, così da poter meglio fuggire. Ma a fuggire fu lei e mi rimase in bocca il gusto amaro delle parole giuste dette al momento sbagliato e dalla persona sbagliata; qual ero io. 
E ora? E ora ecco un altro giorno, un giorno qualunque di una vita qualunque. Il qualunquismo mi assale come un onda che al suo passare mi lascia pieno di quella sostanza mista di terra e fatta di cose che vorrei fossero accadute. Mi guardo lo specchio dell'entrata. La casa tace, anch'essa oramai mi odia lo sento. Eppure sono io il padrone. Rimango immobile a fissarmi; quasi a cancellare la stessa mia immagine. Come strappare una pagina da un libro. Chiudo gli occhi e cerco di ricordare il lago di quando ero ragazzo. La bellezza malinconica che mi trasmetteva in autunno, quando mio padre mi portava in zona di Ghirla o Porto Ceresio. In un periodo dell'anno in cui le spiaggette non erano ancora affollate di tedeschi; e gli scafi lasciavano sull'acqua una scia di schiuma bianca che ti veniva voglia di toccare. 
Faccio una doccia. Poi passo più di un'ora ad ascoltare un programma jazz alla radio. Una session live di Duke Ellington registrata nel '44 all'Hurricane di Broadway. Al termine di ogni esibizione si può distinguere la voce gracchiata dello speaker tra gli ululati della sala: un dissennato confluire di uuh confusi alle richieste di bis e fischi di approvazione. Trascorro così un'altra mezz'ora prima di decidere cosa fare. Spalanco la finestra e mi investe una folata che mi costringe a serrare gli occhi. Il tempo si è nel frattempo guastato. Ha ripreso a nevicare. Quello che adesso viene giù è della nevina fatta ghiaccia che sghemba e scivola via nel vento. 
Mia moglie mi chiama per la cena e il sorriso birichino della mia cucciola mi induce a sedermi accanto e a sorridere di quel che racconta. Questo, mentre mia moglie medita su altre cose e altri pianeti. Ed è meglio così.  
 Dopo cena, seduto sulla poltrona guardo la porta finestra che dà sul retro, dove l'ombra ellittica di un canestro si allunga, e sospinge la luce fin su la collinetta di riporto dominante il cortile posteriore della casa. 
La TV è spenta. La cucciola dorme e mia moglie si è rinchiusa in camera. 
Ormai è notte. Davanti allo specchio del bagno mi sorprendo per le borse sotto gli occhi. Seguendo con la mano il profilo del mento, percepisco la ruvidità canuta della barba. La calvizie ai lati della testa mi dà una certa nota signorile; un po' snob penso, senza poi crederci molto. Metto la bocca fatta di labbra sottili dentro una sorta di ghigno che non mi appartiene. 
Accendo l’iPad e saluto Dandy. 
Dandy ricambia il saluto, e tutt'a un tratto non sono più nella mia poltrona, ma dentro l' iPad e conduco la mia anima lontano, molto lontano e insensibile al fatto che non saprò più tornare indietro e consapevole del fatto che non m'interessa più farlo. 
Sono un uomo scrivania, sono Dandy, questa è la mia storia.

 
film completo

Italia, 1960  95'
Regia di Gianni Puccini
Scritto da Elio Petri, Tommaso Chiaretti
Con Nino Manfredi, Eleonora Rossi Drago, Andrea Checchi, Gianrico Tedeschi

Nando, un impiegato insoddisfatto del proprio tedioso lavoro, evade dalla routine quotidiana durante la notte, tuffandosi nella lettura di un romanzetto giallo e, di lì, in un mondo di fantasia. Un giorno, l'arrivo di una ispettrice in ufficio cambia le carte in tavola: la dottoressa Jacobetti, esigente e appassionata al lavoro. Odiata dai sottoposti, la donna diventa invece l'oggetto dei sogni e dell'amore del protagonista, che cerca di corteggiarla.


colonna sonora e audio poesia 

Album completo

INTRODUZIONE

Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera...
 
 

CANZONE DEL MAGGIO

Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.

Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le "pantere"
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiedi
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate.

E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
 
 

LA BOMBA IN TESTA

....e io contavo i denti ai francobolli
dicevo "grazie a Dio" "buon Natale"
mi sentivo normale
eppure i miei trent'anni
erano pochi più dei loro
ma non importa adesso torno al lavoro.

Cantavano il disordine dei sogni
gli ingrati del benessere francese
e non davan l'idea
di denunciare uomini al balcone
di un solo maggio, di un unico paese,

e io la faccia usata dal buonsenso
ripeto "Non vogliamoci del male"
e non mi sento normale
e mi sorprendo ancora
a misurarmi su di loro
e adesso è tardi, adesso torno al lavoro.

Rischiavano la strada e per un uomo
ci vuole pure un senso a sopportare
di poter sanguinare
e il senso non dev'essere rischiare
ma forse non voler più sopportare.

Chissà cosa si prova a liberare
la fiducia nelle proprie tentazioni,
allontanare gli intrusi
dalle nostre emozioni,
allontanarli in tempo
e prima di trovarti solo
con la paura di non tornare al lavoro.

Rischiare libertà strada per strada,
scordarsi le rotaie verso casa,
io ne valgo la pena,
per arrivare ad incontrar la gente
senza dovermi fingere innocente.

Mi sforzo di ripetermi con loro
e più l'idea va di là del vetro
più mi lasciano indietro,
per il coraggio insieme
non so le regole del gioco
senza la mia paura mi fido poco.

Ormai sono in ritardo per gli amici
per l'odio potrei farcela da solo
illuminando al tritolo
chi ha la faccia e mostra solo il viso
sempre gradevole, sempre più impreciso.

E l'esplosivo spacca, taglia, fruga
tra gli ospiti di un ballo mascherato,
io mi sono invitato
a rilevar l'impronta
dietro ogni maschera che salta
e a non aver pietà per la mia prima volta.
 
 
 

AL BALLO MASCHERATO

Cristo drogato da troppe sconfitte
cede alla complicità
di Nobel che gli espone la praticità
di un'eventuale premio della bontà.
Maria ignorata da un Edipo ormai scaltro
mima una sua nostalgia di natività,
io con la mia bomba porto la novità,
la bomba che debutta in società,
al ballo mascherato della celebrità.

Dante alla porta di Paolo e Francesca
spia chi fa meglio di lui:
lì dietro si racconta un amore normale
ma lui saprà poi renderlo tanto geniale.
E il viaggio all'inferno ora fallo da solo
con l'ultima invidia lasciata là sotto un lenzuolo,
sorpresa sulla porta d'una felicità
la bomba ha risparmiato la normalità,
al ballo mascherato della celebrità.

La bomba non ha una natura gentile
ma spinta da imparzialità
sconvolge l'improbabile intimità
di un'apparente statua della Pietà.
Grimilde di Manhattan, statua della libertà,
adesso non ha più rivali la tua vanità
e il gioco dello specchio non si ripeterà
"Sono più bella io o la statua della Pietà"
dopo il ballo mascherato del celebrità.

Nelson strappato al suo carnevale
rincorre la sua identità
e cerca la sua maschera, l'orgoglio, lo stile,
impegnati sempre a vincere e mai a morire.
Poi dalla feluca ormai a brandelli
tenta di estrarre il coniglio della sua Trafalgar
e nella sua agonia, sparsa di qua, di là,
implora una Sant'Elena anche in comproprietà,
al ballo mascherato della celebrità.

Mio padre pretende aspirina ed affetto
e inciampa nella sua autorità,
affida a una vestaglia il suo ultimo ruolo
ma lui esplode dopo, prima il suo decoro.
Mia madre si approva in frantumi di specchio,
dovrebbe accettare la bomba con serenità,
il martirio è il suo mestiere, la sua vanità,
ma ora accetta di morire soltanto a metà
la sua parte ancora viva le fa tanta pietà,
al ballo mascherato della celebrità.

Qualcuno ha lasciato la luna nel bagno
accesa soltanto a metà
quel poco che mi basta per contare i caduti,
stupirmi della loro fragilità,
e adesso puoi togliermi i piedi dal collo
amico che m'hai insegnato il "come si fa"
se no ti porto indietro di qualche minuto
ti metto a conversare, ti ci metto seduto
tra Nelson e la statua della Pietà,
al ballo mascherato della celebrità.
 
 

SOGNO NUMERO DUE

Imputato ascolta,
noi ti abbiamo ascoltato.
Tu non sapevi
di avere una coscienza al fosforo
piantata tra l'aorta e l'intenzione,
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi più brevi
dell'ultima emozione
quando uccidevi,
favorendo il potere
i soci vitalizi del potere
ammucchiati in discesa
a difesa
della loro celebrazione.

E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi
nel ruolo più eccitante della legge
quello che non protegge
la parte del boia.

Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l'indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato
il potere ti è grato.

Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.

Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?
 
 
 

CANZONE DEL PADRE

- "Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
solo i sogni che non fanno svegliare".
- "Sì, Vostro Onore, ma li voglio più grandi."
- "C'è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre.
Non dovrai che restare sul ponte
e guardare le altre navi passare
le più piccole dirigile al fiume
le più grandi sanno già dove andare."
Così son diventato mio padre
ucciso in un sogno precedente
il tribunale mi ha dato fiducia
assoluzione e delitto lo stesso movente.

E ora Berto, figlio della Lavandaia,
compagno di scuola, preferisce imparare
a contare sulle antenne dei grilli
non usa mai bolle di sapone per giocare;
seppelliva sua madre in un cimitero di lavatrici
avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi;
si fermò un attimo per suggerire a Dio
di continuare a farsi i fatti suoi
e scappò via con la paura di arrugginire
il giornale di ieri lo dà morto arrugginito,
i becchini ne raccolgono spesso
fra la gente che si lascia piovere addosso.

Ho investito il denaro e gli affetti
banca e famiglia danno rendite sicure,
con mia moglie si discute l'amore
ci sono distanze, non ci sono paure,
ma ogni notte lei mi si arrende più tardi
vengono uomini, ce n'è uno più magro,
ha una valigia e due passaporti,
lei ha gli occhi di una donna che pago.
Commissario io ti pago per questo,
lei ha gli occhi di una donna che è mia,
l'uomo magro ha le mani occupate,
una valigia di ciondoli, un foglio di via.

Non ha più la faccia del suo primo hashish
è il mio ultimo figlio, il meno voluto,
ha pochi stracci dove inciampare
non gli importa d'alzarsi, neppure quando è caduto:
e i miei alibi prendono fuoco
il Guttuso ancora da autenticare
adesso le fiamme mi avvolgono il letto
questi i sogni che non fanno svegliare.
Vostro Onore, sei un figlio di troia,
mi sveglio ancora e mi sveglio sudato,
ora aspettami fuori dal sogno
ci vedremo davvero,
io ricomincio da capo.


 

IL BOMBAROLO

Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo,
è quasi indipendente
ancora poche ore
poi gli darò la voce
il detonatore.

Il mio Pinocchio fragile
parente artigianale
di ordigni costruiti
su scala industriale
di me non farà mai
un cavaliere del lavoro,
io son d'un'altra razza,
son bombarolo.

Nello scendere le scale
ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile
giustiziarmi sul portone
proprio nel giorno in cui
la decisione è mia
sulla condanna a morte
o l'amnistia.

Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c'è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d'un altro avviso,
son bombarolo.

Intellettuali d'oggi
idioti di domani
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione
oggi farò da me
senza lezione.

Vi scoverò i nemici
per voi così distanti
e dopo averli uccisi
sarò fra i latitanti
ma finché li cerco io
i latitanti sono loro,
ho scelto un'altra scuola,
son bombarolo.

Potere troppe volte
delegato ad altre mani,
sganciato e restituitoci
dai tuoi aeroplani,
io vengo a restituirti
un po' del tuo terrore
del tuo disordine
del tuo rumore.

Così pensava forte
un trentenne disperato
se non del tutto giusto
quasi niente sbagliato,
cercando il luogo idoneo
adatto al suo tritolo,
insomma il posto degno
d'un bombarolo.

C'è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento
aspettando l'esplosione
che provasse il suo talento,
c'è chi lo vide piangere
un torrente di vocali
vedendo esplodere
un chiosco di giornali.

Ma ciò che lo ferì
profondamente nell'orgoglio
fu l'immagine di lei
che si sporgeva da ogni foglio
lontana dal ridicolo
in cui lo lasciò solo,
ma in prima pagina
col bombarolo.
 
 
 

VERRANNO A CHIEDERTI
                          DEL NOSTRO AMORE

Quando in anticipo sul tuo stupore
verranno a chiederti del nostro amore
a quella gente consumata nel farsi dar retta
un amore così lungo
tu non darglielo in fretta,
non spalancare le labbra a un ingorgo di parole
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell'amore
dopo l'amore così sicure a rifugiarsi nei "sempre"
nell'ipocrisia dei "mai"
non son riuscito a cambiarti
non mi hai cambiato lo sai.

E dietro ai microfoni porteranno uno specchio
per farti più bella e pensarmi già vecchio
tu regalagli un trucco che con me non portavi
e loro si stupiranno
che tu non mi bastavi,
digli pure che il potere io l'ho scagliato dalle mani
dove l'amore non  era adulto e ti lasciavo graffi sui seni
per ritornare dopo l'amore
alle carezze dell'amore
era facile ormai
non sei riuscita a cambiarmi
non ti ho cambiata lo sai.

Digli che i tuoi occhi me li han ridati sempre
come fiori regalati a maggio e restituiti in novembre
i tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro
i tuoi occhi assunti da tre anni
i tuoi occhi per loro,
ormai buoni per setacciare spiagge con la scusa del corallo
o per buttarsi in un cinema con una pietra al collo
e troppo stanchi per non vergognarsi
di confessarlo nei miei
proprio identici ai tuoi
sono riusciti a cambiarci
ci son riusciti lo sai.

Ma senza che gli altri ne sappiano niente
dimmi senza un programma dimmi come ci si sente
continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito
farai l'amore per amore
o per avercelo garantito,
andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori
o resterai più semplicemente
dove un attimo vale un altro
senza chiederti come mai,
continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai.
 
 

NELLA MIA ORA DI LIBERTÀ

Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se c'è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione
che non sia l'aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.

È cominciata un'ora prima
e un'ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l'uscita
non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto...
ma al vostro posto non ci sono stare.

Fuori dell'aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.

Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio
da un po' di tempo era un po' cambiato
ma non nel dirmi amore mio.

Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.

E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual'è il crimine giusto
per non passare da criminali.
Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.

Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
abbiamo deciso di imprigionarli
durante l'ora di libertà
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
 
 

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