(Dentro il racconto) SCUSATE, MA OGGI VORREI MORIRE! SE NON VI DISPIACE!

Come colonna sonora Il protagonista di Marco Masini

Dopo tanti fallimenti
sono fiero di me stesso,
dei pensieri più violenti,
che traboccano dal cesso,
della mia colpa cristiana,
forse sono un parassita,
ma non faccio la puttana
sulla strada della vita.
Meglio un giorno da leone
che un generico ingranaggio,
meglio essere aquilone
che un patetico pagliaccio,
potrei fare il terrorista,
un mercenario strapagato,
basta sia il protagonista
di quest'attimo presente senza fiato.
Dopo troppi sentimenti
odio tutte le persone,
i vicini e anche i parenti,
i barboni alla stazione,
soprattutto certi topi
con i titoli di borsa,
che hanno cuori come lupi
ed il culo in una morsa.
Meno male il mio interesse
per il mondo è relativo,
non mi riempio di compresse
e per mantenermi vivo
metto il tempo in una busta
cancellando il prima e il dopo,
perché da protagonista
è da anni che ormai vivo senza scopo.
Me ne frego se sono egoista,
ma di notte ho paura di me,
meglio essere un protagonista
che un fallito fantasma di sé!
Dopo tanta sofferenza
ho trovato la mia pace
nella vera indifferenza
di un Nirvana in controluce,
è un cadere a capofitto,
scomparire finalmente
da quest'incubo rifritto
della sfiga del perdente.
Non si muore nella vita,
quasi mai, al momento giusto,
ma non vorrei farla finita
prima di provarci gusto,
forse sono un apprendista,
ma lo ammetto mentre scopo,
come il falco più idealista
il mio cuore vola in alto senza scopo.
E me ne frego di quanto mi costa,
ma ho un bagaglio di sogni con me,
meglio essere un protagonista
che inseguire una gioia che non c'è!
Me ne frego dei vostri miliardi,
è lo schifo di questa realtà,
ma sull'albero dei miei ricordi
cresce ancora il bisogno di me,
della mia identità!
Chiuso qui fra quattro mura
ricompongo la mia vita,
correggendo la stesura
della sua commedia vuota,
per riuscire a dire basta
ed amare prima o dopo,
perché da protagonista
morirei senza un scopo.
Morirei senza un scopo!


 In questo racconto si parte dal presupposto che non si muore mai al momento giusto. Gianni vorrebbe liberarsi di questo mondo perché non trova in esso ragione di esistere. Allora le prova tutte ma la sua malasorte gli farà, trovare in una  serendipità tutto sua, la vita anziché la morte. È un racconto ironico, che celebra l'amore come unica salvezza.

Estratto del racconto

Ad ogni modo mentre meditavo vendette mi cadde l'occhio sul mio compagno di stanza. 
Una tonnellata di grasso e di pelle scura. Il che tradotto significava che se avessi iniziato a offenderlo mi avrebbe ammazzato. Respirai, iniettandomi la morfina che per sbaglio avevo rubato all'infermiere di notte. Lo sapevo che mi sarebbe servita! Non era un furto, era pubblica assistenza. Provate voi a offendere a morte un divano con il razzismo incorporato. 
Avevo solo meno di dieci secondi per essere ancora lucido e farmi linciare. 
Lo guardai cattivo e dissi: «Sei un divano e quando morirai io ci farò dormire il mio cane, che adesso non ho, ma per festeggiare la tua morte lo comprerò e lo chiamerò come te!» 
Denti di lui che scricchiolavo e occhi pieni di vendetta… 
Meno 7 secondi… 
«Morirai affamato! E pure grasso» Volarono insulti, ma ad alzarsi manco ci pensava! 
Meno 5 secondi… 
«Quando morirai verrò a mangiare il gelato sulla tua tomba» Si alzò! Flebo che si staccavano, venne verso di me… lo sguardo pieno di odio, ero il suo gelato! Morfina! Morfina vieni a me! Dai dai… 
Meno 3 secondi… meno 2 secondi... è davanti a me… meno 1 … uhm ha pure le tette! 
Adieu mondo crudele!
Argh! Mi è caduto addosso! Non respiro! Non respiro! Ah già! Ok, muoio così! Ma che brutta fine, però! Aiut... 
...............

Sul "non si muore mai momento giusto" ho trovato un bel blog che ne parla.
sul blog (https://desistenza.wordpress.com/)

copio e incollo

Quando Atropo non ne poté più di sentire che così parlò Zarathustra, cominciò a dire la sua. In questo modo ebbero inizio «I discorsi di Atropo» – die Atropos-Reden.

Molti muoiono troppo tardi, e alcuni troppo presto. Altri non muoiono affatto. Sapete chi non muore affatto? Chi non nasce affatto! Non si muore mai al momento giusto. Solo un vero cristiano vuole morire, solo per un vero cristiano in qualunque momento venga, la morte, essa è sempre benvenuta; ma su questo ha già parlato Zarathustra ed io sono d’accordo con lui.
Però Zarathustra va superato. Non esiste una libera morte, perché nessuno può decidere quando morire. A meno che non si suicidi, ma di questo non voglio nemmeno parlare, perché non è questa la soluzione. Io Atropo, vi dico: non suicidatevi! Vivete fino in fondo il tempo che vi è concesso! Ma occupatevi della libera morte di chi non è ancora nato: la libertà di non nascere; è questa la libera morte di cui Zarathustra non vi parlò.
Possiamo non morire, dal momento che siamo nati? No! E dunque non esiste una libera morte. Punto. Dopo aver escluso la morte innaturale di chi si suicida, è giunto il momento di iniziare ad escludere anche la morte naturale di chi si trova ad essere in vita. Dice bene, qualcuno: la vita è sacra. E io dico: proprio per questo va sacrificata! Solo ciò che è sommamente sacro va sacrificato, e la vita è indubbiamente ciò che di più sacro abbiamo. È troppo sacra, la vita, per non essere sacrificata.
Meinen Tod lobe ich euch, den freien Tod, der mir kommt, weil ich will.
Non è “il momento” di morire che dobbiamo o possiamo decidere a posteriori: è ‘il momento di non morire’, che dobbiamo decidere a priori. La libera morte è quella che viene a me perché io non ho voluto la vita. Troppe vite ho tagliato, io, Atropo. Sono stanca di fare la becchina dell’ostetrica! Sono stufa di tagliare cordoni già tagliati da altri. Finché delle levatrici taglieranno dei cordoni ombelicali, Atropo sarà costretta a tagliare cordoni funebri. Per ciò anch’io vi dico – come Zarathustra – che «in verità, non voglio fare come i funaioli, che tirano in lungo la corda e intanto vanno sempre più indietro»: tutti tirano in lungo il cordone ombelicale dell’umanità e così la tirano sempre più per le lunghe, la vita. Per non decedere bisogna recedere da ogni cesoia ostetricia. Macché funaioli! Sono i fumaioli che ci preoccupano! I fumaioli dei cimiteri. I fumaioli dei crematori. Il fumaiolo crematorio va chiuso una volta per tutte, affinché più nessun internato debba uscirne in cenere.
Zarathustra tirò in lungo più che potè il cordone ombelicale, al punto che esso si avvitò su se stesso e divenne un “cerchione ombelicale” nel quale gira “in folle” la volontà di potenza: la volontà di vivere. Basta, Zarathustra, col tuo Seildreher! Macché funaiolo: è un cordaio! Il tornitore – der Dreher – del cordone – das Seil –: fai girare la testa (e le scatole) a tutti, col tuo cordone! Drehen, drehen, drehen… Girare, girare, girare… Tirare in lungo la corda è pericoloso: può spezzarsi. La tua corda s’è già spezzata, Zarathustra: io stessa l’ho tagliata, nonostante tu dicessi che si sarebbe avvitata su se stessa senza mollare la preda, la vita… e anche la corda del tuo seguace, Nietzsche, s’è spezzata: l’ho recisa con grande soddisfazione, quando morì, lui, che tirò in lungo e in largo la tua stessa corda. Ma cosa credevate? Che noi tre, Norne, avremmo dovuto in eterno tagliare i vostri cordoni? Come se fossimo tornitori pagati a cottimo?
Siamo tre, noi Norne: una taglia il cordone per la nascita, l’altra lo tesse per tutta la durata di questa o quella vita, e la terza, io, lo taglia per la morte. Le mie sorelle mi hanno mandato a dire, a voi tutti, che non ne possiamo più: non ne può più la Norna che fa nascere, non ne può più la Norna che fa vivere, e non ne posso più nemmeno io, la Norna che fa morire. A me, poi, tocca il compito più ingrato. Mi hanno mandato a dire che il cordone non è una corona, né funebre né natalizia: l’arte difficile di andar via al momento giusto è quella di non arrivare affatto. Questo è il messaggio che mi hanno mandato a dirvi, le mie due sorelle.
Quando si nasce si matura, e se si matura si marcisce. La vita ama mangiare ciò che matura: fa come Eva, la vita. E spesso preferisce mangiare ciò che non è ancora marcito… il frutto che non è troppo maturo. Per questo ‘muor giovane colui ch’al cielo è caro’; andatelo a dire a Zarathustra! E che significa, dunque, «proprio quando si è più saporosi, bisogna smettere di lasciarsi mangiare»? Proprio quando si è più ‘soporosi’, piuttosto, quando nessuno ci ha ancora svegliato, quando si dorme saporitamente senza che il nostro sapore faccia ancora gola a qualcuno… La mela di Zarathustra è diventata marcia, puzza, fa schifo! Lui non la può più vedere, ma noi lo sappiamo: nessuno la vorebbe più mangiare, questa mela. E che? Pensò di redimere Eva facendo della sua mela un frutto ad eterna conservazione? Zarathustra, tu dici che «certo, vi sono mele acerbe, la cui sorte è di attendere fino all’ultimo giorno d’autunno: esse diventano al tempo stesso mature, gialle e grinzose»; ma noi, Zarathustra, noi tre, Norne, abbiamo visto tante mele acerbe morire nel fiore degli anni, e quel fiore adesso è reciso, insieme al suo stelo: stamen. Lo stame della vita è das Seil. Sono tutte staminali, le vite: sono ordite alle spalle, da noi, che le gestiamo…
Sono venuta a dire alle gestanti: attenzione alla trama! attenzione all’ordito! non siete voi, a filare! E non lasciatevi offendere da Zarathustra, gestanti discinte: cingetevi i fianchi e vegliate, affinché la morte non sorprenda i vostri figli! Per tutti la vita è un fallimento, dacché nessuno riesce a vincere la morte. Non ascoltate Zarathustra, quando dice che «per molti la vita è un fallimento: un verme velenoso li rode nel cuore…»: per tutti, la vita è un fallimento: un verme velenoso li rode nella tomba… così vi parlo io, Atropo. Lo stesso verme che morse la mela colpevole della vita, rimorderà le vostre vite quando io le avrò spezzate.
Sì, Zarathustra, hai ragione, «fin troppi vivono, e troppo a lungo restano appesi ai loro rami», ma non è continuando a seminare alberi che si eviterà la mia potatura. Maledetto Zarathustra! Cosa dici? «Venissero predicatori della rapida morte!» (???)
Möchten Prediger kommen des schnellen Todes!
Sei matto, Zarathustra! Tu vuoi che io tagli in fretta i rami degli alberi che a te non piacciono? Sono io che decido quando tagliare! E nessuna tempesta potrà mai abbattere l’albero di una vita, se io non lo taglio. Ma la mia pazienza è finita. È arrivata la grande ora di Atropo: quella in cui l’albero non sarà più tagliato perché non sarà più piantato!
Piantala, Zarathustra, con la tua rapida morte! Saranno tutte sdentate, le bocche che vorranno addentare le mele! Non avranno più denti per peccare! Non saranno più i rimorsi che rimorderanno, perché saranno morsicati dai morsi stessi degli umani! Ferocemente morsicati! Anche tu, Zarathustra, sarai morsicato, ed anche Nietzsche, il tuo discepolo prediletto (dopo Dioniso). La pazienza per le cose terrene è finita perché sono le stesse cose terrene che non pazientano più: quelle “cose” chiamate esseri umani.
E poi, perché stai sempre a pensare a «quell’Ebreo, che i predicatori della lenta morte onorano»? Tu, che l’hai tolto di mezzo definitivamente, ora stai lì a cantarne le esequie? Che ti importa, se Egli avrebbe o non avrebbe potuto imparare «a vivere e ad amare la vita»? se solo avessi potuto insegnarglielo tu! di certo l’avrebbe amata, la vita, ma… invece amò gli umani, a costo di non amarla, la propria vita. Tu, invece, l’hai amata fin troppo! La vita rosola a fuoco lento chiunque finisca nel suo altoforno: i comignoli sono sempre fumanti. Zarathustra! Che vuoi? Dov’è, il tuo Superuomo «libero per la morte e libero nella morte»?
 
Frei zum Tode und frei im Tode.
 
Non le vedi, le api che girano come sciacalli attorno alle carogne della libertà? Non calunniare le api, Zarathustra, e nemmeno il miele! «Nel vostro morire deve ardere ancora il vostro spirito…»? Pagliaccio! sai qual è lo spirito che arde, quando si muore? L’anima, che, fumandosi la vita, esala il suo ultimo fetore di carne bruciata. Ad ogni uomo, il morire, gli è riuscito male, perché gli ha fatto male. Zarathustra, tu vuoi tornare ad essere terra? Allora ricordati che polvere sei e polvere ritornerai, e adora «quell’Ebreo» la cui chiesa ti impone le ceneri. Per questo hai combattuto il cristianesimo? Per ardere dal desiderio di ricevere le ceneri? Vuoi tornare ad essere terra per aver pace in colei che ti ha generato? e perché mai? forse che non avesti pace, sulla terra?
A te getto la palla, Zarathustra, così come le mie sorelle mi gettano la fune affinché io la tagli. A te la palla: tu l’hai lanciata e io te la rilancio. Tutti gli eredi della tua meta sono stati bruciati sul tempo: la meta l’hanno sempre raggiunta a metà. Getta la palla, Zarathustra, getta la spugna: gli umani sono stanchi di sciacquare sangue da se stessi. Gettare la palla d’oro – den goldenen Ball werfen! – è un gioco che ha rotto le palle a tutti, dopo che Eva la gettò per la prima volta. È ora che tutti i predicatori la finiscano, sia quelli della morte veloce sia quelli della morte lenta; nonché quelli della morte che ritorna, come te! L’eterno ritorno della morte ci ha stufati! Basta, Zarathustra! Chi chiude gli occhi nella morte non ha più occhi per la vita! Basta, nessuno ti ascolta più. Adesso è giunta la grande ora di Atropo: quella nella quale si dà un taglio con tutto.
 
Così parlò Atropo.


Per quanto riguarda invece la serendipità, c'è un film romantico che ne parla. 
Il termine serendipità indica l'occasione di fare scoperte per puro caso e, anche, il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne stava cercando un'altra. Il termine fu coniato in inglese (serendipity) da Horace Walpole nel XVIII secolo e rientra pertanto nel novero delle parole d'autore. La serendipità viene spesso concettualizzata dagli studiosi come un tipo particolare di fortuna, che emerge da una combinazione di ricerca, contingenza e conoscenza pregressa. Sebbene dunque il concetto di serendipità sia indissolubilmente legato a quello di incertezza, la serendipità richiede una buona sintesi di preparazione e apertura verso il nuovo attraverso meccanismi di dubbio generativo.



Audiofilm 


citazioni dal film

“Forse l'assenza di segni è un segno.”

Dal racconto

In ogni caso lascerò un messaggio per il becchino, di non disturbarmi sennò lo inseguirò per tutta la sua vita. Non è vero, ma i vivi tendono a credere a tutto pensando ai morti. Ed io a quel punto sarò morto! 


La pagina dedicata ai dentro al racconto 







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