IN TRENO 1\2 - 20.000 miglia da me

 In treno con degli sconosciuti in una sconosciuta vita
Il treno va, il treno avanza. Inesorabile nel proprio destino.
Un percorso obbligatorio il suo come lo è infondo la vita. Esso porta anime e vite dissimili fra loro eppure unite da una singola identica destinazione.
Una meta non scelta insieme, eppur condivisa con motivazioni molteplici e diverse fra loro ma alla lunga sempre le stesse.
Come la signora dinanzi a me, diversa per ceto o per età ma che birichina passa il tempo attaccata al suo smartphone, controlla senza sosta il suo telefonino lanciando furtivi sguardi a suo marito che tracotante se la dorme in panciolle di lato.
Avessero requiem invece le gemelle al mio fianco che tese e imperterrite s'imbellettano e posano per immortalare ogni singolo minuto della loro permanenza in treno.
Oppure il giovane uomo che si è seduto per due fermate e poi si è alzato piantonando con ansia eccessiva la porta d'uscita con il telefono all'orecchio, dandoci conoscenza di quanti milioni ha in banca e dove, quando e come tradisca la moglie. Deve senza dubbio parlar a una segreteria, perché quella sua voce nasale, non ha sosta e non permette al suo interlocutore di dare risposta alcuna. Che carini invece i due innamorati che non odono o vedono altro che loro stessi e respirando e imprimendo ogni secondo di questo loro viaggio in treno. Spero che oltre a essere sordi, siano pure senza olfatto perché accanto a loro siede una signora di costume antico che credo abbia adottato la canfora come cura di ogni male o macchia di questo mondo.
Si sente fin qui infatti, anche senza vedere il ragazzotto della fila parallela che mima al suo compagno, fazzoletto in mano, una morte precoce per asfissia. E io in mezzo a loro che penso solo a lui.
Ora che dai finestrini la luce diminuisce, le chiacchiere si attenuano fino a divenir sussurri e uno a uno gli occhi si chiudono. I miei son lì sbarrati dall'ansia di quel che il cuor non sa neppur dir ma allo stesso tempo pensa.
Come sono angelici invece quei volti che nella notte sognano, così tutt'insieme eppur ognun per conto suo.
Qualche luce gravita ancora qua e là, proveniente da qualche tablet, o Iphone che sia.
Guardo il mio che tace, ormai anche lui è stanco e la batteria dice che è tardi, lo spengo in fretta e lo ritiro, sperando in qualche miracolo mattutino.
La seduta è scomoda ma il dover cercar il bagno in mezzo a tutta quella gente che dorme mi è ancor più difficile, eppure a un certo punto mi faccio coraggio ed esploro il resto del vagone fino al raccordo con il successivo in cerca del wc. E lo trovo. Angusto e stretto proprio come è sempre stata la mia vita, maltrattata seppur sempre utile a qualcuno.
Per qualcuno che non sia io s'intende. Aprendo la porta una bimba assonata fa capolino assieme alla mamma scombinata e irritata, le sorpasso in fretta perché vedo nell'angolo della bocca di lei un sorrisetto tirato che cerca in qualche disperato modo l'occasione di far pettegolezzo.
L'ora è tarda, vedo sopraggiungere un'altra mamma e di sicuro di storielle di parti e malattie di bambini ne troveran di belle. Io ho smesso di far da mamma tempo fa.
Non vedo motivo di ripescar vecchie storie e risvegliar dolori sopiti dal tempo e dalla ragione.
Scappo da loro, come dalla mia vita, il treno prosegue la sua corsa ed io non ho fretta di arrivare a destinazione. Mi siedo composta al mio posto e mi pare di essere già morta.
La sensazione è fugace e vola via al sorgere del sole quando il treno si ferma in una stazione. Io ne approfitto per far colazione. Ho poca fame ma la voglia di caffè mi assale, tanto quanto quella di farmi una doccia calda, abbandonando tutti quanti senza pensare più a nulla.
Ah già questo l'ho già fatto, mi dev'esser sfuggito il pensiero ieri ma oggi mi appare più reale. Più limpido. Più speciale. Sorrido alla vita e alla fuga.
Al mio ritorno dal bar osservo braccia insonnolite che si stirano, il controllore che passa creando gran confusione fra gente che non trova il biglietto o che ancora dorme e qualche ragazzotto che appena lo vede scappa in un'altra direzione. Mentre dormivo dev'esser sceso qualcuno, non vedo più la stessa gente di ieri, le gemelle per esempio né i due giovani innamorati, al loro posto due rasta e vicino a me un giovane signore che legge in continuazione. Come in treno nella vita, gente che va e gente che viene, inarrestabile.
La mattina porta allegria assieme alle voci, le varie suonerie iniziano a serpeggiare fra chi deve scendere e chi da poco è salito. Il mio iphone tace temerario senza stimolo.
Il treno riparte con un gran scossone, la gente si calma e inizia a farsi i fatti propri. Chi legge, chi spia il prossimo, chi ammicca e chi fa conferenze sulle proprie abilità umane.
Tutto il mondo è paese anche in treno, e quel che lasci trovi, semmai con qualche dettaglio nuovo. Tipo il ragazzo davanti a me che mi fissa e poi finge di leggere, riflette e poi rivolge a me lo sguardo, ancora e ancora e io lo guardo e mi faccio guardare perché in treno questo tipo di giochi si possono fare, sembra essere nato per questo il treno, purché tutto rimanga un gioco.
Il mio posto vicino al finestrino è sacrosanto! Lo esigo come vero è che esisto! Invece no, un corpulento ragazzo sgranocchiando patatine se n'è impossessato, durante un altro mio round in bagno. Con la mia voce sottilissima lo richiamo all'ordine ma lui mi ignora, nella sua matassa enorme di roba trangugiata a metà e di altri oggetti misti.
Allora gli tocco il braccio e lo guardo gentile ma due buchi neri mi frugano e non lasciano spazio ad alcuna risposta. M'imbufalisco come si può imbufalire solo una persona buona, gli levo perentoria la rivista di musica dalle grassocce mani e gli scandisco a chiare lettere che quel posto è mio e solo mio! Lui mi risponde: “Ormai non più”.
Manco il finestrino guarda per veder il quadro che di attimo in attimo si trasforma cambiando colore e dimensione. Non viene rapito dalla bellezza della natura. Niente! Mi vien da piangere da un lato e da trapassarlo da parte a parte con la chiave di casa dall'altro.
Un signore brontola per il trambusto ma non interviene, una vecchietta dice la sua in dialetto e un'altra le risponde. L'aria si fa tesa e io mi vergogno a morte della mia debolezza nel non farmi rispettare. Un signore distinto si alza e lo rimette in riga e lui controvoglia mi cede il posto e torna al suo. Il brav'uomo ha occhi bellissimi e io gli mormoro un grazie mentre i miei occhi si inumidiscono per la fragilità del mio essere. Vorrei essere migliore, ma non sono che una stupida bambola di pezza che aspetta qualcuno per essere difesa. Il brav'uomo sorride e torna al suo posto, dalla moglie e i suoi due figli. Inforco grandi occhi da sole e le cuffie per la musica, punto lo sguardo sul mio sospirato finestrino e nella mia solitudine ricreata verso un po' di lacrime asciutte mentre la mia anima esplode in mille pezzi.
Non vorrei nutrire tante aspettative, come la donna forte che non sono non nutrirebbe, ma in fondo siamo ciò che la vita c'insegna ed essere quindi ho preso l'iphone e guardato quello che la mia fuga aveva scatenato. Volevo far la superiore ma non ci son riuscita e schiacciata nel mio sedile adesso volevo vedere e sentire, ora volevo capire cosa provavano coloro che ho abbandonato. Abbandonato è una parola grossa e pone un accento negativo sulla mia fuga. Sembra quasi che me ne debba vergognare ma davvero non è così. Mi sono semplicemente salvata la vita. Ho lavorato operosamente fin dalla mia primissima età matura. Ho cercato di far tutto per bene, nella disgrazia e nella serenità.
Ho preparato cammini altrui, tenendo mani e costruito pezzo per pezzo futuri più sicuri possibili. Tutto e ancora più di tutto affinché fossero felici.
La mia felicità l'ho lasciata lungo il commino del mio essere sempre proiettata verso l'infinito, verso il futuro. Adesso è la, la si può vedere abbandonata, sdrucita e stanca, ormai del tutto inutilizzabile. Nessuno se ne prenderà cura, nemmeno io, per questo ora son qui e lei e loro sono là. Lontani ma ormai del tutto pronti, a vivere senza di me.
Il mio iphone tace, troppo orgoglioso per potermi regalare tenerezze dopo l'affronto della mia rinascita. Mi manca solo un anno a quella vera dei quaranta, l'anno prossimo dovrò morire per bene, solo così potrò rinascere a nuova vita. Questo mio lungo viaggio in treno non è che la preparazione a tal evento. Non c'è vita che meriti di essere buttata via, provengo dalla generazione dove invece che buttare si riparavano le cose. Io uguale ma lontano da loro, riparo me stessa, rigenero la mia vita affinché sia ancora degna di essere vissuta.
Ancora una fermata è scenderò, vedo il respiro della gente diventare irregolare e l'ansia di abbandonare questo nostro breve ma intenso ‘refugium peccatorum' trasformarsi in realtà.
In fondo il treno è un anche una pausa che ci vogliamo regalare. In treno non puoi vivere totalmente la tua vita, devi aspettare l'arrivo, il ridiscendere dalle carrozze e questo può regalarti un po' di tempo per pensare, da dedicarti un po' di tempo da regalare a te.
Forse non tutti la pensano così ma dovrebbero farlo almeno una volta nella vita. Concedersi questa breve vacanza da se stessi in treno. La nostra famigliola inizia ad armeggiare con gli addii e con i "ci rivediamo" i più tecnologici si proiettano con i "ci becchiamo sui social" piuttosto che in un futuristico " alla prossima volta". A me nessuno dice niente, perché io non li voglio rivedere da nessuna parte. Se li rivedessi il viaggio perderebbe valore e significato e loro malgrado diverrebbero come quelli che ho lasciato a casa. Voglio invece che essi siano come quelle rette che t'incrociano, t'intersecano ma non formano con te nessun triangolo, nessun angolo di nessun genere, che ti lascino solamente il ricordo del loro passaggio. Dei loro profumi, usi, consumi e frammenti dei loro discorsi che ricordo, e segnato nella mente chiudendo gli occhi e ascoltando con l'anima. Non sapranno mai, questi signori, quanto dentro me ho ragionato con loro senza averci mai neppur parlato. Il treno si ferma com'anche il mio respiro. Tutto è regolare eppur non lo è, qualcosa manca, quello che sempre manca alla fine di ogni viaggio, ciò che ti aspetti ci sia, che ti attende fuori con gli occhi di chi ti ha sempre aspettato. Suona il mio telefono ma non rispondo e nel momento esatto in cui scendo lo vedo. Ed eccolo che mi guarda disperato, eccomi qua che guardo la mia fine assieme al mio nuovo inizio.

Il treno è una terapia per tutti i tipi di malesseri. Persino come malattie come l'Alzheimer.
Questa terapie non farmacologiche si chiamano la treno terapia.
Pensata per dare sollievo ai pazienti affetti da Alzheimer, la treno terapia fa riaffiorare ricordi ed emozioni, calmando le persone e placando i tipici stati di agitazione della malattia.
Un viaggio virtuale di 45 minuti in una sala allestita come un vagone del treno con poltrone e un finestrino attraverso il quale guardare le immagini di un paesaggio in movimento. A raccontarla così è molto semplice, ma l’efficacia di questa terapia non farmacologica presente in sempre più strutture RSA (ma si usa anche con i bambini con autismo o con persone che soffrono di depressione) risulta da subito evidente, riuscendo a calmare le persone affette d’Alzheimer, cancellando il senso di ansia e agitazione.
La terapia inizia in una finta sala d’attesa retrò, curata nei dettagli, dove i pazienti possono vivere una situazione realistica che riporta a momenti già vissuti del loro passato. Si prosegue poi spostandosi nel vagone dove uno schermo riproduce le immagini di paesaggi in movimento che fanno riaffiorare emozioni e ricordi, calmando, ma anche stimolando le relazioni tra le persone presenti.
La treno terapia detta anche terapia del viaggio, come tutte le terapie non farmacologiche, è pensata per migliorare la qualità della vita delle persone affette da demenza, alleviando i disturbi ed evitando anche un’eccessiva assunzione di farmaci calmanti. Il treno è un contenitore affettivo in grado di stimolare ricordi, emozioni e rapporti in cui le persone si rilassano o si attivano, a seconda dei casi. Allo stesso tempo, attività di questo tipo sono di aiuto anche per i caregiver, perché riuscendo a mantenere un buono stato d’animo della persona di cui ci si prende cura, l’intera gestione risulta meno complessa.
E se questo tipo di terapia è possibile, dal momento che serve una riproduzione a grandezza naturale di un vagone del treno, solo nelle strutture assistenziali, ci sono molte altre terapie non farmacologiche che possono essere messe in pratica anche in ambiente domestico, come per esempio la doll therapy.
La terapia del treno, ideata dal professore Ivo Cilesi, simula un viaggio immaginario, ma che sul piano delle emozioni e delle sensazioni è vissuto come reale e dunque in grado di stimolare la memoria affettivo-emozionale e, quando possibile, anche le capacità cognitive residue delle persone malate.
esserci, esserci significa ascoltare, essere in ascolto garantisce la cura.
Viaggiare significa cambiare, cambiare luogo, cambiare sguardo, cambiare idea… e quindi anche scoprire, scoprirsi, guarire. Guarire di una guarigione profonda, che e’ armonia. Non e’ un caso che Ippocrate strappasse i malati alle proprie famiglie e li mandasse su un’isola.
Ippocrate, padre della medicina moderna, è conosciuto soprattutto per il noto giuramento che ne porta il nome, per la teoria umorale, e per le innovazioni introdotte nel mondo medico quali la diagnosi, la prognosi e la cartella clinica.Ma un’altra cosa per cui dovrebbe essere noto è il fatto che quando un paziente era intenzionato a guarire da una malattia, la terapia non era mai solo questione di medicine e dieta, ma soprattutto di allontanarsi dal luogo, e quindi dal contesto, che ha generato la malattia, almeno temporaneamente. Questa è la prima testimonianza, o il primo accenno se vogliamo, al valore terapeutico del viaggiare, dello spostarsi, dell’altrove, quello che talvolta viene definite dromoterapia, dal rumeno "drom", viaggio, dal greco "dromos", corsa, e infine dal sanscrito "dremi", vagare.
un problema o un disagio, che appaiono nel corpo o nella mente di una persona, sono la manifestazione, molto spesso, di una disarmonia non solo individuale ma anche sociale, di un contesto squilibrato e di un non corretto gioco di pressioni.
Un ambiente fisico e sociale, un tipo di routine, rappresentano un equilibrio di forze, e se una persona partecipa a questo equilibrio subendolo, spesso traduce inconsciamente tutto ciò in un malessere fisico o psicologico: quanto volgarmente e comunemente chiamiamo la malattia. Il bisogno di viaggiare nasce sovente da questo: la necessità di prendersi le meritate vacanze, visitando il luogo d’infanzia, spesso ricco di ricordi felici, o spazi aperti che esprimono l’equilibrio delle forze naturali, come montagne, mare, campagna, e inducono spesso a riflettere in noi queste supreme armonie.


                                        
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il treno più pazzo del mondo



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Colonna sonora 
 
 
Come stai cosa fai
come mai su questo treno
dove vai con chi sei
vedi ancora quello che non ride mai
stai bene insieme a lui
dormi qua se ti va
io mi fermo su a Milano
vuoi un caffè beh che c'è
nel vagone letto non c'è un'anima
puoi star tranquilla ma dai storie ne ho quando capita
niente di serio però
chiudi le tende sul sole che scende tra noi

e tu sul treno che va lassù
adesso sei qui e non so
se è un caso o no

tu di là io di qua
il silenzio è imbarazzante
zitto io zitta tu
fisso le mie scarpe ma ti bacerei
tu ti avvicini e lo fai
e come sempre fai quel che vuoi
e sa di buono lo sai
il tuo profumo l'odore di fumo che hai

e tu sul treno che va lassù
mi abbracci e già sei sui miei
punti più deboli e tu sul treno che va lassù
riapri una storia che è chiusa ormai con te
poi ti rivesti
... e forse è meglio così ... ma si

vorrei parlarti e mi accorgo che
un argomento non c'è
c'è il tuo profumo l'odore di fumo su me

ma tu sul treno che va lassù
ti guardi allo specchio e sei già lontanissima
e tu sul treno che va lassù
mi chiedi che ora è
riapri la tenda e non ci sei più.









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